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La visione del Sangue

Suoni, vibrazioni, piacevoli sensazioni nella notte. Il frinire dei grilli, le rane che gracidano nello stagno e il delicato fruscio delle foglie mosse dal vento. Il vento appunto, che può trasformarsi da morbida arietta che sfiora appena le guance a bufera che fischia ed ulula a più non posso, che spezza i rami degli alberi, che li fa volare via assieme alle foglie e che per poco non fa volare via anche noi. Quel vento stesso che a volte si tramuta persino in tremendo uragano che sradica gli alberi, che scoperchia i tetti delle case, che manda in frantumi i vetri delle finestre. Ecco, io sono come il vento. Imprevedibile, sorprendente, imponderabile. Ora sono calmo, tranquillo, distaccato, poi d’improvviso mi trasformo e allora divento agitato, cattivo, bellicoso, esagitato, folle! L’effetto è quasi istantaneo! Divento rabbioso e soltanto una cosa, soltanto una riesce a placarmi, a rabbonirmi, a sedare questa mia momentanea malattia! La visione del sangue. No! Assolutamente no! Non voglio diventare un mostro io! Non voglio far del male a nessuno io, anche se una parte di me lo vorrebbe fortemente! Ho chiesto aiuto, ma nessuno s’è fatto avanti. Nessuno! Dottori, preti, genitori, parenti, amici. Tutti fanno finta di niente! Tutti se ne fregano. Mi trattano come un appestato! Anzi, hanno paura di me! Dicono che non c’è cura che possa guarirmi. Che non c’è niente da fare! E allora mi hanno lasciato tristemente da solo a convivere con questo mio mortificante, umiliante e straziante stato patologico, con questa mia inguaribile infermità mentale, con questa mia atroce realtà. E quindi, giunto a questo punto, dico a me stesso che non c’è cura migliore al mondo che tagliarmi le vene dei polsi con un bel rasoio affilato! E allora sì che lo vedrò il sangue! No! non è un brutto incubo questo, ve l’assicuro! Non sto affatto sognando! Quaggiù, a casa mia, in questa villetta isolata di campagna, al riparo da occhi indiscreti, il mio sangue adesso sta colando a fiotti sul pavimento. Tranquilli però! Non morirò dissanguato! Piano piano, lentamente sto perdendo le forze. Sono stordito ma mi rendo comunque perfettamente conto di ciò che sto facendo, di ciò che voglio fortemente che mi accada affinché non si ripeta più questa mia lunga e dolorosissima tortura. Pertanto faccio leva sulle poche forze che ancora mi rimangono, allungo una mano, agguanto una scatola di cerini, ne accendo uno e, immediatamente lo getto sul pavimento già impregnato di benzina e saturo di terribili vapori. Ed ecco che, finalmente, una tremenda deflagrazione guarisce per sempre questa mia terribile malattia.

Amilcare




Anonimo - inviato in data 16/09/2013 alle ore 15.04.39 - Questo post ha 2 commenti

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COMMENTI
- Sul suicidio - da Anonimo - inviato in data 17/09/2013 alle ore 8.36.28
Credo di ricordare che qualcuno una volta ha scritto che probabilmente il suicidio è inscritto o meno in un qualsiasi ramo del proprio albero genealogico.
Ho letto con molto interesse questa storia. Ne è valsa la pena.
Andrea


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- Ehi, ci sai fare! - da Anonimo - inviato in data 16/09/2013 alle ore 19.34.15
Non è certo una sinecura la tua verve di scrittore. Appena ho finito di leggere questo tuo grazioso racconto ho tirato un profondo sospiro di sollievo per l’avvenuta fine della sofferenza del suicida, dopodiché mi sono tracannato un bel sorso di vino alla tua salute. Se a questo punto in effetti il tizio interprete della trama è decisamente defunto, tu viceversa sei davvero vivo e lo dimostra la tua inventiva e piacevolezza creativa di scrittura. A ben rileggerti.

Norberto


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