In quel momento Mario Rizzuti, in codice, agente scelto EmmeErre, una delle migliori teste di cuoio dell’unità d’élite della polizia, particolarmente addestrato per speciali missioni contro il terrorismo, udì molto distintamente i singhiozzi della sua ragazza, a mano a mano che si avvicinava alla cella dov’era rinchiusa. I muri erano dissestati e il pavimento era tutto cosparso da migliaia di pezzi d’intonaco e di mattoni sgretolati. Fortunatamente superò, senza essere visto, diverse celle, in alcune delle quali vide addirittura degli scheletri. Chissà cos’era mai accaduto? Arrivò alla porta della penultima cella. Sbirciò dallo spioncino e la vide! Aveva un viso pallido e spaventato. Era lei, era Genevieve, la sua Genevieve! Se ne stava tutta rannicchiata in un angolo con gli occhi rossi di pianto. Mario, con una leggera carica di esplosivo al plastico, fece saltare la porta ed entrò nella cella. Ancora una volta trasalì dalla bellezza che traspariva dal corpo e dai gesti della sua amata, anche se provata dalla prigionia. Lei però non sembrava così tanto compiaciuta di vederlo, anzi mostrava d’essere abbastanza seccata e indispettita. E dire che una delle ragioni per le quali Genevieve si era innamorata di lui, era l’assoluta certezza che il suo uomo l’avrebbe protetta da qualsiasi pericolo. Ma per troppo tempo Mario, il suo fidanzato, adesso suo salvatore, l’aveva lasciata da sola a marcire in quella prigione prima di decidersi a liberarla. Da più di un anno lei l’aveva atteso lì, sepolta in quella maledetta segreta. Sapeva bene che prima o poi sarebbe venuto a liberarla. Ne era certa. Ed era per questo che con grande rassegnazione e immenso dolore, aveva sopportato quella sua lunghissima prigionia, pregando ogni giorno il Signore che non la facesse impazzire. E proprio quel giorno, il primo dell’autunno, con il vento e le foglie gialle che volteggiavano nell’aria, lui era venuto a liberarla! Ma quando finalmente, l’agente EmmeErre la liberò dalle catene, prevalse in loro il sentimento più forte, quello dell’amore, che da sempre aveva stregato i loro cuori. Così Genevieve si sentì afferrare dalle forti braccia di Mario e quei due teneri amanti, alla fine ritrovati, si baciarono dolcemente sulla bocca e poi tante altre volte ancora, ma molto più ardentemente. Quindi continuarono in quel loro rito d’amore, di dolcezza e d’attrazione sessuale, ognuno frugando avidamente nel corpo dell’altro, nelle parti più intime e nascoste, fino a quando la passione non li travolse completamente, coinvolgendoli a tal punto da non accorgersi che, dietro di loro, i due squallidi terroristi, i carcerieri di Genevieve, erano accorsi al rumore della detonazione e stavano puntando su quei loro corpi innocenti, completamente nudi e arrotolati a terra, le loro armi assassine. Troppo tardi si accorsero, quei due angeli, pazzi d’amore l’uno per l’altro, che alle loro spalle c’erano quei terribili nemici. E in quegli attimi sublimi di puro amore, proprio mentre i due amanti raggiungevano l’acme del piacere, piuttosto che reagire cercando di fuggire ai loro carnefici assetati di sangue, i due innamorati, trasportati dal loro immenso amore, preferirono cadere remissivi nelle mani assassine di quei terroristi senza scrupoli, e quella fu la loro condanna! Infatti, i due aguzzini senza cuore e senza sentimento, fecero fuoco sui due corpi innocenti, uccidendoli senza pietà, profanando quanto di più sacro esistesse al mondo, l’amore! L’amore eterno, il sentimento più intenso e più profondo che mai l’uomo avesse conosciuto. Adesso lasciatemi solo qui, seduto davanti alla tastiera del mio computer a piangere la morte delle mie creature, l’agente scelto EmmeErre e Genevieve che si amavano alla follia, a tal punto di scegliere, con piena coscienza, di morire assieme. Se solo avessi voluto, avrei potuto benissimo salvarli, eppure non l’ho fatto! Potevo confezionare per loro un finale molto più brillante e piacevole! Eppure non l’ho fatto? Ma perché? Non me lo perdonerò mai! Stanotte non dormirò pensando a quei due teneri amanti e per sempre mi perseguiterà il loro silenzio. Nell’alcova del mio delirio, spero soltanto che i neri avvoltoi, che stanno volando minacciosi sopra di me, riusciranno a strappare i miei occhi, ormai stanchi, dai loro bulbi oculari, almeno così non farò più danni.
Oronzo Cavaneri.
Anonimo - inviato in data 13/10/2011 alle ore 22.26.05
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