Un tempo ero stato molto ricco. Ero un uomo facoltoso. Vivevo nel lusso più sfrenato. Ma poi, il succedersi di tante avversità mi avevano ridotto alla miseria. E così, per sottrarmi alle mortificazioni della mia nuova condizione, me ne andai a girovagare per il mondo come un autentico barbone, in questo nostro bel mondo che, ogni giorno, dagli albori della vita ad oggi, ci ha sempre regalato una fantastica raccolta d’intense emozioni. Veri attimi di puro rapimento; l’alba e il tramonto, il sole e la pioggia, il caldo e il freddo, la vita e la morte! Non avevo nulla con me, soltanto le mie gambe per camminare. Da allora, ne ho fatta tanta di strada e sempre mi sono imbattuto in grandi masse di popolo, quindi di lavoratori, di cittadini e di individui tanto laboriosi, quanto infelici che, accalcati nelle piazze, vie, vicoli e calli della terra, protestavano e rumoreggiavano, gridando i loro diritti e le proprie ragioni e, mi parve di capire, che prima di essere spedite al macello perché non più utili, quelle imponenti mandrie di esseri umani, venissero sfruttate molto abilmente, direi quasi in modo terapeutico, per essere indirizzate poi verso un’unica direzione, quella del denaro e della ricchezza, che però baciava e premiava soltanto i pochi eletti, che da sempre si nascondono nei palazzi del potere! Da sempre incline alla reale astrazione dei fatti, io mi ero facilmente adattato alle difficoltà della mia nuova condizione, e quindi avevo abbandonato senza alcun rimpianto il mio passato ed affidato al vento del futuro il mio avvenire, anche se in effetti, senza ciò che restava del mio passato, per me non ci sarebbe stato né presente, né futuro. Ben presto però, tutto cambiò. Era soprattutto il presente che mi preoccupava, che turbava la mia psiche, ma più di ogni altra cosa, era la paura, ossia il sentimento più forte e più antico dell’animo umano. Ebbene sì, il terrore si era prepotentemente insediato nella mia mente. Ero ansioso, avevo paura di tutto, anche di me stesso, ma ero soprattutto spaventato dall’ignoto, atterrito da quello che da un momento all’altro poteva accadermi! Un giorno, dopo aver camminato tanto fra strade sterrate, mulattiere e sentieri, in quel mio interminabile viaggio senza meta dai percorsi talmente ardui e tortuosi da apparire ai miei occhi come un’incessante discesa iniziatica nel profondo degli inferi, raggiunsi un bellissimo bosco di abeti, che si estendeva alle pendici di un verdeggiante monte. Francamente in quel luogo, dove a malapena riusciva a filtrare solo una sorta di luce mistica, in quel regno, circondato dal mistero, da una calma apparente e da un silenzio quasi irreale, stavo provando un crescente senso di disagio e di sofferenza. Né il canto delle cicale, né il cinguettio degli uccelli! Nulla! Nessun suono o rumore della natura, nemmeno quello di un tenue soffio di vento! Ma ero così stanco, che subito mi coricai sotto a uno di quei grandi abeti e m’addormentai di colpo. Poi però, mi risvegliai di soprassalto, non so dirvi nemmeno dopo quanto tempo. Spalancai le palpebre! Era davvero incredibile! Mi guardai attorno. Ero sbalordito! Non riuscivo assolutamente a capire dove mi trovassi! Cosa fosse mai successo? Gli abeti non c’erano più, erano tutti quanti spariti! Al loro posto delle sublimi sculture! Non molto lontano da quelle opere divine, c’era una tomba decaduta, piena di crepe, in rovina. Mi avvicinai pavido a quel sepolcro di marmo. Ciò che vi lessi sopra mi sconvolse! L’epigrafe così recitava:
“ Qui giace Leopoldo Giacchetta, ex ricco, suicidatosi con un colpo di pistola il 2 novembre del 1972. Un tempo egli amò il denaro più di se stesso. La miseria poi, come un fulmine, s’abbatté su di lui. Allora egli girò il mondo in lungo e in largo soffrendo il freddo e la fame. Ma la sua grande paura di tornare ricco e potente, lo portò alla decisione estrema di togliersi la vita. 4 Settembre 1917 - 2 Novembre 1972”
A quel punto io, Leopoldo Giacchetta, nato il 4 settembre del 1917, inorridito da ciò che avevo appena letto sulla mia tomba, spinto da un’ondata anomala autodistruttiva penetrata come una furia nel mio cervello, estrassi dalla mia sacca l’unica cosa rimasta della mia ricchezza di un tempo, una vecchia pistola da collezione ancora in ottime condizioni e, senza pensarci troppo, me la puntai alla tempia e sparai! Era esattamente il due novembre del 1972, il giorno dei morti!
Oronzo Cavaneri.
Anonimo - inviato in data 01/11/2011 alle ore 11.03.09
-
|