Da bambino, naturalmente aiutato dal babbo, ho costruito, assieme a lui, la mia piccola casa in cima ad un albero. All’epoca, abitavamo in una graziosa villetta in via Forabosco, sul colle di Porcari che sovrasta la cosiddetta Valle delle Sei miglia. La zona era ed è molto tranquilla, ed è immersa in un bellissimo panorama verdeggiante. Costruimmo quella mia piccola casa, servendoci di assi di legno prelevati dalla legnaia. Per inchiodare quelle assi, utilizzammo un buscherio di chiodi, e ovviamente, per fissare quei chiodi, ci servimmo di un bellissimo martello da falegname, col manico in frassino sagomato, che ancora oggi conservo, come fosse una reliquia. Quel martello era di mio padre, e faceva parte dei suoi attrezzi di lavoro. E’ l’unico dei suoi arnesi che si è salvato, a seguito dei vari traslochi che, nel corso degli anni, si sono succeduti, causa la sua prematura morte. Infatti, pochi mesi dopo il triste evento, ci trasferimmo a Lucca, prima nel quartiere di San Vito, e poi a Nave. Adesso invece, abito in Viale Puccini a Sant’Anna. Babbo era un abile falegname ed un bravissimo papà. Ormai purtroppo lui non c’è più, e non c’è più nemmeno quella mia piccola casa in cima all’albero. Da allora, eravamo negli anni settanta, sono passati tanti anni, ed ovviamente non sono più un bambino, ma un paio d’anni orsono, attratto dalla curiosità, sono tornato da solo in Via Forabosco a Porcari, sulla collina che sovrasta il paese, vicino a ciò che rimane della vecchia piscina Masada, e non molto distante dalla famosa Torretta, simbolo di Porcari. Volevo rivedere quella mia piccola casa in cima all’albero. Ma ahimè, quell’albero non c’era più, e nemmeno quella casetta di legno. Nella mia mente però sono restati tanti ricordi! Quando giocavo nella mia casa in cima all’albero, potevo benissimo essere anche un re dentro al suo castello dorato, o addirittura un astronauta, alla guida di una nave spaziale diretta sulla Luna. A volte me ne stavo semplicemente seduto tranquillo lasciando che il sole battente, che filtrava fra i rami, mi riscaldasse il corpo. Poi, quando il sole se ne stava per andare, piano piano l’aria s’impregnava di una gradevole frescura e, a malapena, potevo udire il lieve fruscio del fogliame su quell’albero dove spesso “abitavo” per ore. Quando giocavo nella mia casa in cima all’albero, potevo anche essere Superman alla ricerca del suo pianeta, oppure il Signor Bonaventura, con la sua marsina di color rosso, il cappello a bombetta e i suoi larghissimi pantaloni bianchi, sempre alla ricerca della sua buona azione quotidiana e naturalmente dell’astronomica ricompensa di “Un Milione!” A volte salivo sulla casetta anche quando era brutto tempo e pioveva! Il suono della pioggia battente, rendeva ancora più surreale l’atmosfera che respiravo in cima a quell’albero. Spesso restavo all’ascolto dei mille rumori della natura intorno a me, e la mia fantasia correva a briglia sciolta. Molto volte venivo preso dal panico, solo perché confondevo l’urlo del vento con quello di un lupo, o che so, di una iena, di un coyote o…addirittura di un leone o di una pantera! Sovente mi guardavo attorno guardingo, scrutavo sopra e sotto i rami, fino alla base dell’albero, e anche in lontananza, fin dove osava arrivare la mia vista. Chissà, forse pensavo che ci fosse qualcuno che si nascondeva per non farsi vedere da me, che voleva cacciarmi dalla mia casa, che voleva impossessarsi di quel mio tesoro! Mi pareva addirittura di udire dei fruscii, dei rumori di passi e dei rimestii, ma poi mi facevo sempre forza, dicendo a me stesso che era soltanto il frutto della mia suggestione e della mia fantasia. Ricordo che, una di quelle volte, venni preso dal panico, proprio nel momento in cui una forte folata di vento entrò tra le fronde dell’albero portandosi via un fottio di foglie, le quali, dopo un vorticoso volo nell’aria, caddero giù fra il terriccio, facendo tremare il sottoscritto e tutto quanto il sottobosco di un velenoso brivido. Spesso smetteva d’un tratto di piovere, ma subito dopo ricominciava a venir giù una noiosissima e sottile pioggia, una specie di nebbia che offuscava la luce attorno a me, mentre lassù, in alto, un falco girava come se non trovasse pace! Quando giocavo nella mia piccola casa in cima a quell’albero, che purtroppo adesso non c’è più, potevo anche essere la piccola vedetta lombarda di deamicisiana memoria, quel bel ragazzo, quel biondino dal viso ardito che, arrampicatosi in cima all’albero per scrutare l’orizzonte e controllare le mosse del nemico, morì da soldato, dando la vita per la sua amata Lombardia. Molte volte, dall’entusiasmo e dall’euforia di trovarmi in quella casetta di legno sull’albero, non riuscivo nemmeno a capire dove mi trovassi, spesso nemmeno chi io fossi. Ero come avvolto in un sogno, in una nebbia di gioia, infagottato, circondato da una massa di sensazioni incontrollabili, allegre e molto piacevoli, nelle quali respiravo, esistevo e vivevo veramente! Quando salivo sulla cima di quell’albero, appena entrato in quella mia piccola casetta di legno, mi trasformavo in mille personaggi, potevo davvero essere chiunque! Da lì potevo persino vedere la luna che, in pochi istanti, orlava le scure e caliginose nuvole col suo splendido e bianco alone!
S T E L E
Anonimo - inviato in data 15/02/2012 alle ore 10.34.43
-
|