ANGELICA RACCONTA. 'UN NATALE BOIA'

Lucca – Anno di grazia 1846 - Natale del Signore.

La lunga notte sta ormai svanendo. Le strade e le piazze di Lucca sono ancora punteggiate da pozzanghere melmose, ma adesso, per fortuna, il cielo si sta schiarendo. Da pochissime ore è già Natale, e fra poco dall’orizzonte sorgerà l’alba. Già da qualche giorno nelle case di tutti, anche dei più poveri e, a maggior ragione, in quelle dei ricchi, gli alberi di Natale sono stati addobbati, chi con poche cose, chi con tante, chi con molte di più, e a quest’ora certamente i regali più modesti, come i più costosi, saranno tutti sparsi a terra sotto l’albero. A mezzogiorno, nelle famiglie di molti lucchesi, perlomeno in quelle dei più fortunati, mentre un bel fuoco scoppietterà nel camino, di fronte alle dispense sarà un trionfo di tavole imbandite in maniera semplice, modesta e dignitosa, ma anche di tavole ricche e addirittura sfarzose, preparate con sontuosità ed allestite con ogni ben di Dio. Ma tutte, e dico tutte, avranno attorno al desco tanti parenti e amici per festeggiare insieme il Santo Natale, per mangiare, per brindare e per ridere felicemente in allegra compagnia. Però, purtroppo, nella sua casa tutto questo non avverrà, perché lui vive una vita da solitario, da emarginato, da orso, perché tutti lo scansano! A lui mancherà tanto quel calore umano che riscalda i cuori, il calore di un abbraccio, di una carezza, di un bacio, di una stretta di mano o di una parola buona. E’ come se lui stesso si fosse espropriato del tutto dell’emozione pura dell’amore e dell’amicizia, di questo ponte ideale di sentimenti che unisce e lega le famiglie e la gente di tutto il mondo, soprattutto il giorno di Natale. Lui è veramente inaccessibile, lui è solo, non ha amici e non ha nessun parente con cui festeggiare. Fra l’altro lui, non è nemmeno di Lucca, ed a Lucca è arrivato da Roma soltanto e solo per lavorare, peraltro senza guardare troppo per il sottile. Fra parentesi, nessun lucchese era disposto ad esercitare quel suo mestiere, né per ducati, né per soldi, né per quattrini, né per lire e nemmeno per tutto l’oro del mondo! E sapete perché? Perché il mestiere di Tommaso è quello del boia, e lui è tuttora l’odioso, malvagio e terribile boia di Lucca, o per meglio dire è il boia del Ducato di Lucca, il quale Ducato, a suo tempo lo ingaggiò, avendo l’urgente necessità di un boia permanente a Lucca, visto che era fin troppo costoso far giungere da Pisa, o da altre città, un boia, naturalmente in compagnia dei propri strumenti di morte. E tutto in osservanza del Codice Napoleonico, che aveva accresciuto a dismisura il numero delle pene di morte da condurre a termine, e in effetti, lui, Tommaso, il proprio lavoro, fin qui, l’ha sempre svolto impeccabilmente, come un autentico professionista, direi alla perfezione e con tantissima abilità e competenza. Egli, vive isolato come un appestato sopra ad un baluardo delle mura medioevali, in una casa che un tempo fu un’antica caserma dei bombardieri, e che tutti adesso chiamano, con una punta di inquietudine, per non dire peggio: “La Casa del Boia”, la quale casa è situata proprio sopra ad uno dei quartieri più disordinati e caotici della città, il quartiere del “Bastardo”. Purtroppo per il querulo e piagnucoloso Tommaso, ossessionato, tormentato, pentito e vinto dal dolore e dai rimorsi di coscienza, che da tempo ormai lo segnano e lo perseguitano, si profilano scenari bruschi, improvvisi e tenebrosi, atmosfere cupe, squarci di luce ed esplosioni di terrore. E così, sempre più spesso, egli rivive gli attimi tenebrosi e drammatici che precedono costantemente le esecuzioni capitali, ovvero le sentenze di morte da lui eseguite, e riascolta, per l’ennesima volta, il rullare cadenzato dei tamburi dei soldati borbonici, e rivede la folla, come sempre molto numerosa, assiepata ed euforica attorno al patibolo, ed i volti distrutti dei condannati a morte immobilizzati da un collare stretto attorno al collo. E guarda attentamente la ghigliottina che lui stesso ha azionato, e la tagliente lama che cade velocissimamente sul collo dei malcapitati criminali, decapitando in un sol colpo la loro testa, e scruta i corpi dei giustiziati che, uno dopo l’altro, piombano sotto il palco del supplizio, e osserva inorridito le loro teste mozze ruzzolare all’interno di un’orribile cesta. Adesso i primi raggi del sole penetrano attraverso la finestra riflettendosi sulle pareti, e come in un gioco diabolico di luci e di corpi interposti ad esse, disegnano sinistramente l’ombra di un avvoltoio che sembra nutrirsi delle interiora di un essere umano. Gli occhi del vecchio, colmi d’inquietudine mista a stupore e panico, fissano per qualche secondo quelle losche figure sui muri, poi, subito dopo, spaventato a morte, va a rinchiudersi in camera. Inganni satanici? Preannuncio di eventi terribili? Forze distruttive che vogliono distruggerlo per fargli espiare le sue colpe? Il boia è come paralizzato. Il suo volto è pallido e distrutto. Sembra un fantasma! Intanto, in lontananza, un organetto risuona per la strada. Fuori dalla camera invece alcuni gridano, altri schioccano la frusta, chi batte e chi bussa insistentemente! Il vecchio boia, ormai dimissionario e prossimo al pensionamento, è scioccato! Chi può mai essere a quest’ora se la porta di casa del temibile boia è chiusa a chiave? E poi, con lui non abita nessuno, lui vive solo come un cane! Dunque, chi mai sarà, se nessuno gli è amico e tutti quanti hanno paura di lui? Saranno dei malviventi? Giù, nella strada, un cane comincia ad abbaiare ripetutamente, proprio nel momento in cui le chiavi della sua camera tintinnano nella porta che ben presto si apre. Il boia non può credere ai propri occhi! Davanti a lui una fila di volti ben conosciuti; da Pietro Pagano a Michele Petroni, dal “Cabala” al “Faina”, dall’”Abbataccio” a Demetrio Prosperi, dal “Quere” a tanti altri ancora. Sono loro, le decine di condannati a morte sul patibolo con il taglio della testa, tutte decapitazioni che lui stesso ha eseguito servendosi di una rudimentale e artigianale ghigliottina, fra l’altro costruita da due valenti artigiani lucchesi. Ognuno dei condannati, tiene stretta sotto al braccio sinistro la propria testa mozzata e sanguinante, mentre con la mano destra impugna un’affilatissima ascia dal lungo manico, un’arma veramente terribile e letale, capace in un solo colpo di mozzare qualsiasi testa, persino quella del boia Tommaso! Per la sua terribile paura, il sangue del vecchio si ferma, e intanto, dentro di se, nella parte sua più intima e profonda, quel maledetto macellaio, semplicemente chiamato da tutti “Il Boia di Lucca”, sussulta di lussurioso raccapriccio! No, lui davvero non si sarebbe mai e poi mai fatto tagliare la testa. No! Il boia di Lucca non avrebbe mai subito un simile affronto, perché lui non è né un malandrino, né un brigante, né un assassino, e per giunta non ha mai commesso alcun tipo di furto, tantomeno sacrilego. No, lui è solo e soltanto un onesto lavoratore, che ha prestato per quasi vent’anni, con assoluta sollecitudine ed abilità, la sua preziosa opera al servizio di un piccolo Stato qual è il Ducato di Lucca. Punto e basta! Tommaso ha davvero passato una brutta notte! Non appena si sveglia dal suo lunghissimo e spaventoso sogno pervaso da inquietanti, torbidi ed allucinanti incubi, egli, ancora terrorizzato, frastornato e inebetito, urla e sbraita frasi sconnesse, apre la finestra e, per sfuggire ai suoi immaginari carnefici, compie un gesto disperato! Si getta coraggiosamente nel vuoto, proprio nel momento in cui un forte vento sale urlando fra lancinanti gemiti, gemiti talmente intensi e vigorosi da soffocare perfino il grido acuto che lancia il vecchio boia di Lucca mentre si sfracella orrendamente al suolo. Oggi, nell’anno del Signore 1846, per quasi tutti gli abitanti di Lucca, sarà certamente un Natale sereno, felice e gioioso, in particolar modo per Carlo Ludovico di Borbone, Duca di Lucca, per i suoi cortigiani, per i suoi soldati, per le milizie dei birri, per i religiosi e per il popolo tutto del Ducato. Senza dubbio però, non è stato così per lui, perché per il vecchio Tommaso Jona, giustiziere e carnefice a Lucca, questo Natale è stato davvero un Natale Boia.

ANGELICA C.


Nota dell’autore.

Quale fu la vera fine del Boia di Lucca, al secolo Tommaso Jona? Qualcuno lo sa? Io ho voluto immaginare così le sue ultime ore di vita, prima di morire. Ed ho scelto per lui una morte da suicida. A mio modo di vedere il vecchio boia era molto depresso. Secondo me, lui da tempo, aveva analizzato bene se stesso e la sua vita, facendo della sua esistenza un bilancio completamente negativo e, oltre ai suoi sensi di colpa, era depresso soprattutto per la totale mancanza di amore e di affetto e, anche perché sapeva bene che il suo futuro, pur breve che fosse, data l’età, sarebbe stato ancora più terribile del passato, e quindi l’unico modo per lui per porre fine una volta per tutte alle sue sofferenze, era quello di compiere un estremo gesto, era quello di suicidarsi, e forse questo mio racconto, chissà, può anche essere un piccolo rivelatore degli abissi infiniti dell’essere e della sua natura umana. Spero tanto che, in qualsiasi luogo lui si trovi adesso, ovunque egli sia, Tommaso il Boia non me ne voglia per la brutta fine che gli ho fatto fare! Non so se sono riuscita o meno nell’intento, ma con questo mio racconto, ho voluto immaginare il suo rimorso per aver giustiziato dei criminali, anche se, ovviamente, visti i tempi, era autorizzato a farlo, ed ho voluto ipotizzare il suo tormento e forse, in qualche modo, anche il suo pentimento. E’ certo però che indubbiamente lui aveva scelto un mestiere poco invidiabile, anche se, in effetti, era un mestiere semplice, ma pur sempre bisognoso di uno specifico addestramento, e poi, per quanto ne so, quella era un’attività anche molto ben remunerata. Ovviamente questa è stata una mia libera interpretazione con qualche piccola licenza in più. Tutto qui. So che Tommaso Jona venne assunto dal Ducato di Lucca nel 1826 e che dopo l’ultima esecuzione nel 1845, rassegnò le sue dimissioni, peraltro accettate e che il nuovo carnefice, tale Benedetto Paltoni, arrivò a Lucca il 10 novembre del 1847. Per esigenze di trama ho fatto “Morire” il boia di Lucca Jona, nel Natale del 1846, circa dieci mesi prima che arrivasse il suo sostituto. Ma per fortuna, dell’opera del suo successore non ce ne fu bisogno, in quanto, con un trattato stipulato il 5 ottobre del 1847, fra Carlo Ludovico e Leopoldo II, il Ducato di Lucca, uno dei più brevi ducati di tutta la storia d’Italia, passò al Granducato di Toscana, e il giorno prima di questo trattato, cioè il 4 ottobre, finalmente venne abolita la pena di morte. Mi scuso in anticipo per gli eventuali possibili errori nei quali, anche se involontariamente, posso essere caduta, evidentemente per non essermi ben documentata.

ANGELICA C.

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