Angelica racconta. Il sacco della città.

Doveva essere passata da poco la mezzanotte. Panettoni e spumante, imprese galanti di giovani pervertiti senza soldi, senza mestiere e senza alcuna speranza. Ancora mezzo bicchiere di vino e poi nessun cacciatore caccerà più il lupo. Tanta nostalgia e stizza, una malcelata gelosia ed una smisurata ambizione. Vecchi mobili ricoperti di ragnatele, botti, otri ed orci. Lassù sulla parete un vecchio ritratto di mia madre, una vecchia donna malata di cuore che tiene sulle sue braccia una bella bambina di tre anni che si è fatta addosso la pipì. Fuori dal castello mille draghi che volteggiano sulla città sventrata e sui suoi vicoli scuri. S’ode il continuo tonfo delle pietre e delle macerie. Nelle strade, solo fecce di mercenari assetati dal bottino di guerra, e poi ratti, resti dilaniati e corpi senza vita. Nel monastero di pietra dalla cupola d’oro e dalle grandi pareti affrescate, il Gran Sacerdote porta la maschera della morte. Sono abominevoli i suoi scopi, la sua è una vita piena di sotterfugi e intontimenti, ricca di paura, di disgusto e di curiosità morbose. Faceva tanto freddo e il mistero latente dell’esistenza era ancora troppo nuvoloso, dopodiché soltanto piccoli sobbalzi, lievi scosse, lenti scarti, grandi mucchi di spazzatura ed enormi badilate di merda.

Angelica C.

Estratto da www.lavocedilucca.it/post.asp?id=20246
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