Quella che sto per raccontare è una storia vera, la storia di una bambina di soli 9 anni che si è ritrovata orfana di mamma; la mia storia, iniziata circa 32 anni fa ed è ancora viva dentro di me, anche se non ho ricordi dettagliati, è viva nel dolore. Purtroppo il dolore più grande non è stato la perdita della mamma, ma i fatti successivi alla scelta di mio padre di trovare una nuova compagna. Sarà difficile per me raccontare tutti i Traumi Infiniti subiti, non solo perché non sono una scrittrice, ma soprattutto perché per continuare a vivere cercando di non farmi influenzare troppo da queste esperienze negative, ho imparato a dimenticare e in parte ci sono riuscita, poi è tanto doloroso scavare dentro di me tutte le violenze. Vorrei che questo libro mi aiutasse a liberare del tutto la mia anima ricca di sofferenze e facesse capire a voi quanto è fragile la vita di un bambino. Di mia madre ricordo ben poco…. Ho in mente delle specie di fotografie… il mio primo giorno di scuola e la sua mano che si allontana dalla mia… ricordo quando le spalmavo sul braccio la pomata…. Ricordo che si limava le unghie… Ricordo il suo odore ma non ricordo il suo viso, la sua voce… eppure ero già abbastanza grande… ho ricordi di fatti più remoti, ma di lei solo vaghe sfumature della sua figura. Che cosa sia accaduto per cancellare i ricordi non lo so, forse è solo stata una difesa nel mio cervello… Però, anche se non ricordo niente sento e ho sentito tanto la mancanza della figura materna. Mio padre: forse ha sofferto più di tutti la perdita, nessuno sa confrontare il dolore ed io da bambina meno che mai. Ho solo nuvole di fumo di quei momenti ma ricordo bene il giorno che mi presentò una sua amica! Frequentavo un corso di tennis, era estate e mio padre mi aspettava al bar del circolo insieme a questa donna per offrirmi un’aranciata. Mi presentò la sua amica che già avevo intravisto altre volte, mi sembrava simpatica ma non l’ho mai considerata. Chissà quanto mio padre ci ha pensato, forse si era reso conto che non facevo caso alle sue amicizie e una sera mi portò alla scuola serale che lui frequentava per il diploma di 3° media, ed eccola di nuovo li, dietro la cattedra a insegnare e poi l’ho rivista altre volte e altre volte ancora, in sostanza tutte e volte che io ero con mio padre, lei compariva. Anche un neonato avrebbe capito!!! Non l’ho presa male, era carina, condivideva i miei interessi, e poi comunque ognuno tornava a casa sua e la vedevo ogni tanto solo nei fine settimana quando ero con mio padre. Forse era già passato un anno quando papà organizzò un’uscita in barca. Ero emozionata, andare in barca con papà a fare il bagno a largo, dove l’acqua è profonda. Viene anche mia cugina, sarà una giornata super; ma dopo un minuto che siamo partiti con la macchina già ci fermiamo ed ecco che compare lei e occupa il posto davanti. Questa proprio non ci voleva… ed io che credevo che papà volesse andare in barca solo con noi… uffa. Arriviamo al porto, mettiamo giù la barca, andiamo a largo e ci tuffiamo… ora va meglio. Il mare mi ha sempre stregato, mi rilassa tantissimo, può succedere di tutto intorno, io sto bene… ma questa volta…. Incredibile! Quello strano essere, amica di mio padre, non riesce a risalire la scaletta per entrare in barca. Vedo questa persona attaccata con le braccia alla scaletta, i piedi sul piolo e non riesce a tirarsi su. Vedo la sua pelle ciondolare, come se avesse in dosso abiti bagnati, invece è solo la sua pelle, piena di buchi, è un’immagine che non riuscirò mai a togliermi dalla testa, sembra moccio, che schifo! Dal quel momento non mi è più sembrata simpatica, dovevo prendere a risa quel suo modo imbranato di fare e invece è stata solo repulsione. Qualche tempo dopo l’amica di mio padre mi fa una proposta: “Vieni a vedere la stanza dove vivo?” Ok. “Guarda che bel posto: il letto, la scrivania, il tappeto non piacerebbe anche a te avere un posto cosi tutto tuo??” Beh sì, a quale undicenne non farebbe piacere avere una stanza propria dove rifugiarsi? “Se vuoi ti presto questa stanza, quando vuoi, puoi anche venire a dormirci. Se vuoi anche stasera stessa” Accetto. Vado a casa a prendere le mie cose, torno alla stanza accompagnata da mio padre e da lei. “Stai bene, divertiti, buonanotte” e chiudono la porta a chiave… Credo sia stata la notte più lunga della mia vita. Con un tranello mi hanno rinchiuso. E se venisse il terremoto? E se la stanza andasse a fuoco? E se mi sentissi male? E i 1000 se che hanno girato nella mia mente in quella notte. Sono stata fregata, questa non gliela perdono. Stronzi! Per andare a farsi gli affari loro mi hanno rinchiuso? Devo proprio dare fastidio con la mia presenza… me la pagheranno!!! Le campane della chiesa al di là del fiume suonavano ogni ¼ d’ora, ho pianto, di paura e di una sensazione strana… ero d’impiccio alla loro serenità. Non pensavo più a vendicarmi, avrei solo voluto scappare ma non ne avevo il coraggio e non sapevo dove andare. Ma guarda in che situazione senza scampo mi trovo, ma crescerò e sarò libera, altrimenti c’è il suicidio. Solo con questi pensieri riesco a far tornare i battiti del mio cuore regolari e a riuscire ad aspettare l’apertura della porta. Non ho mai detto niente di come mi sentivo, non li ho neppure rimproverati per avermi rinchiusa. Ho sempre fatto credere a tutti che stavo bene e ho sopportato in silenzio il rendermi conto di essere un “peso”. Abbiamo fatto viaggi in 3, a Venezia, in Francia e in altre località e l’albergo? Camera matrimoniale con lettino. “ Dormi te nel lettone con papà?” No! Dormo nel lettino!! era la mia risposta. Non volevo che per colpa mia dovessero stare separati, e mi sentivo sempre di più un peso e piangevo in silenzio perché piuttosto di passare la notte in bianco a sentire fruscii e respiri mi sarei uccisa. Avevo 12 anni quando mi hanno portato a Montecarlo al casinò. Ho fatto di tutto per rimanere a casa era troppo doloroso ripetere l’esperienza ma mi hanno obbligato ad andare con loro. Non sarei potuta entrare, i minorenni non sono ammessi nelle sale da gioco, ma alle slot machine sì, è stata la loro risposta. Mi hanno messo in mano una borsata di spiccioli e mi hanno lasciato da sola a sperperare i soldi nelle slot quando loro entrarono nel casinò. Era arrivato il momento giusto per scappare per sempre dalla loro vita. Sono in un posto dove nessuno mi conosce, ho una borsata di soldi. Nella mia testa c’era solo: Addio per sempre! Avevo seguito con lo sguardo tutti i loro movimenti fino all’ingresso del casinò, è stato un attimo, sono scappata a corsa singhiozzando e tenevo stretta a me tutti quei soldi. Ho corso per un po’, poi mi sono seduta su un gradino e ho continuato a singhiozzare. Era notte e avevo freddo, quando mi sono messa le mani in tasca, mi sono ritrovata le chiavi della macchina che papà mi aveva lasciato per entrarci appena avessi finito di giocare alle slot e ancora una volta mi sono sentita in colpa: come facevano a tornare a casa se le chiavi le avevo io? Non ci ho pensato due volte e correndo sono tornata al parcheggio del casinò per entrare in macchina. Avevo portato con me una cassetta che mi aveva fatto il mio fidanzatino, la misi nello stereo e tra le note di 'If you leave me now' dei Chicago la sua voce mi diceva ‘in questi giorni che non ci sarai, in questi giorni che non sarai con me, non mi mancherai soltanto tu, ma una parte dentro il mio cuore’. Ho fatto bene a tornare, ho lui, il mio amore che mi aiuterà a superare tutte queste angosce. Non devo scappare, devo sopportare ancora un poco, lui mi porterà via, il nostro amore non avrà fine, ci sposeremo e vivremo la nostra vita ed io non sarò più un peso.
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