Eppure, a ben vedere, negli ultimi sessant’anni, a son di sforzi, ne abbiamo fatta di strada! Figuratevi che la mia famiglia nell’immediato dopoguerra non aveva neppure il gabinetto in casa. Nel nostro fabbricato ce n’era soltanto uno su ciascuno dei tre piani, i quali piani erano abitati ognuno da tre famiglie, alcune anche molto numerose, guarda caso proprio quelle del 2° piano dove noi abitavamo, e di conseguenza ogni w.c. era ad uso comune fra tutti gli inquilini di quel particolare piano. Quei cessi, con rispetto parlando, erano posizionati fuori dagli appartamenti, sulle scale, sul fondo del rispettivo pianerottolo e prendevano aria da una piccola finestrella con vista sulla strada. All’epoca non si usava certo la carta igienica per ripulirci, ma sopperivamo tranquillamente con i giornali e, in loro mancanza e per nostra sfortuna, con i famosi fogli di carta gialla, quella rigorosamente ricavata dalla macerazione della vera fibra di paglia, una carta molto grezza e robusta, direi quasi una sorta di carta abrasiva, che purtroppo i miei, per necessità, mettevamo da parte religiosamente, che poi non era altro che la stessa carta gialla nella quale i bottegai incartavano gli alimenti che acquistavamo giornalmente. Figuratevi poi se in quel puzzolente stambugio c’era il bidet o quantomeno il lavandino! Ma quando mai! Neanche per sogno! Quella era tutta roba per benestanti e ricchi! Inoltre, le nostre pulizie igieniche personali complete, cioè il bagno, lo facevamo una volta alla settimana dentro ad una grossa conca, la stessa che veniva usata anche per fare il bucato! Oggi invece, nei nostri attuali bagni abbiamo tutto, e per non dilungarmi non entrerò certo nei particolari. Ovviamente di giorno, quando fortunatamente trovavamo la latrina libera, era un po’ come vincere un terno al lotto, ci recavamo lì a fare i nostri bisogni, sia per i grossi, che per i più piccoli svuotamenti, ma di notte proprio no, perché sotto ai nostri letti troneggiava sempre un bel pitale smaltato di bianco, anche se con evidenti problemi di ruggine. In pratica, quel cesso in comune, era composto da una vetusta panca di legno sulla quale spiccava un buco centrale che, ovviamente, subito dopo l’uso, veniva tappato con un coperchio, anche quello di legno. E sapete una cosa? Bisognava stare sempre molto attenti nell’espletamento delle nostre necessità corporali fisiologiche, e soprattutto avere la massima cura di non lambire niente. Era assai opportuno accovacciarsi lentamente e prendere la mira giusta, mentre in simultanea dai nostri sfinteri si aprivano gli orifizi che avevano il duro ma gradito compito di espellere e spedire le nostre feci lungo un convulso e tortuoso viaggio che presto le avrebbe portate verso il profondo e oscuro baratro di un pozzo nero. Ecco, è tutto, però lasciatemi dire; ogni volta che penso a quanto sopra, è come se tornassi a rivivere magicamente quei momenti, come se sentissi nuovamente i suoni, gli odori e gli umori di quel tempo che fu, dove tutti vivevano con poco e dove il progresso cercava di avanzare di corsa…ma anche dove spesso i nostri sforzi comuni, molto più di adesso, ottenevano eccellenti risultati.
Conte Cozio di Salabue.
Questo post ha 1 commenti |