Mi consumavo lentamente come la fiammella di un moccolo di candela. Avevo perso ogni mia granitica certezza. Nei miei occhi aleggiava un lucore sospetto, senza alcun dubbio frammisto ad odio.
Non ero niente io, proprio nulla! Né virtuosa, né puttana, né ricca, né povera, né tantomeno un’accattona di lusso.
Lungo il mio tormentato cammino procedevo perplessa, traccheggiante e ondivaga, e per la prima volta, da credente praticante, ostentavo atteggiamenti fin troppo agnostici sull’esistenza di Dio.
Era la notte di Natale. Entrai titubante in chiesa. Dapprima mi raggomitolai su una panca. Poi dubbiosa m’inginocchiai davanti al Signore il quale subito mi sorrise. Il suo era un sorriso straordinario, ricco di promettenti presagi, scevro di promesse aleatorie.
Non appena uscita dalla Sua Casa, udii l’inconfondibile scandire dei rintocchi delle campane a festa, mentre il cielo gonfio di pioggia irradiava misteriosi bagliori bianchi iridescenti.
Nell’aria gelida il mio volto si arrossò, le mie mani s’intirizzirono, mentre buffamente il mio fiato fumigava. In quel momento soltanto silenzio e meditazione regnavano attorno a me, e nel mio cuore e nella mia mente non c’era null’altro che la preghiera.
E fu così che terminarono quei miei terribili incubi, motivo e origine di altrettanti angosciosi risvegli, e che la luce odiosa e torbida che si era profondamente radicata nella mia mente, rendendo ottuso il mio intelletto, se ne andò via spazzata da un vento teso e pungente, presagio di un imminente tempesta.
Angelica C.
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