Non appena uscì dalla tana dove aveva trovato rifugio, il gelo pungente le raggrinzì il viso. Era rimasta sola Angelica. Tristemente sola. Drammaticamente isolata e sola. Addirittura forse, fra tutte, era l’unica ad essere sopravvissuta, nonostante fosse la più giovane, la più ingenua, la meno esperta. Probabilmente le altre erano state tutte eliminate, uccise, massacrate, una dopo l’altra, ma chissà, forse qualcuna di loro era riuscita a fuggire scampando al massacro, salvandosi dalla crudele mattanza. Era stanca e debole Angelica. Erano ormai tre giorni che non mangiava e che si sentiva come una preda ferita, inseguita, braccata da un branco di iene. Vagò per ore nel bosco che, in quel tratto, era molto rado, segno inequivocabile che quell’inverno i boscaioli avevano lavorato davvero sodo e bene. Finalmente Angelica, dopo aver imboccato un piccolo sentiero, scorse, nascosta fra la vegetazione, una casa, dove sicuramente qualcuno stava preparando la cena. Infatti, nell’aria arrivava un buon odore di cibo cucinato. Ormai s’era fatto quasi buio quando, d’un tratto, un fascio di luce la investì. Erano i fari di un potente fuoristrada che illuminavano il bosco, dando così vita ad uno strabiliante ammasso di ombre sinistre e malevoli. Per un attimo Angelica rimase stordita, poi, di gran fretta, si nascose dietro un grande albero e, quando quel massiccio quattro ruote motrici, molto simile ad un mezzo militare, si fermò davanti alla casa, essa, incuriosita, si mise ad osservarne gli occupanti. Questi ultimi, non appena scesi dall’automezzo, stavano caricandosi sulle spalle; il primo dei due, una grossa scure a lama larga col manico di legno, l’altro una capiente gerla di vimini. Fu solo in quel momento che Angelica li riconobbe. Si ricordò della descrizione dettagliata che le aveva fatto sua madre di loro soltanto pochi giorni prima di morire, prima di finire uccisa anche lei, come le altre, massacrata, trucidata a colpi furiosi d’ascia ad opera esclusiva di quei due pazzi boscaioli, di quei due autentici macellai pluri-assassini! La sua genitrice l’aveva messa in guardia, le aveva detto che erano stati proprio quei due criminali taglialegna a sterminare pressoché totalmente la loro razza, la loro antichissima stirpe! Subito le si gelò il sangue nelle vene. Frattanto il buio si era impadronito del bosco, cosicché Angelica, avvolta dalle più fitte, profonde e impenetrabili tenebre, non riuscì a vedere più alcunché. Fu proprio in quell’istante che sentì dietro di sé un lieve rumore. Si voltò di colpo! Venne quasi accecata dal bagliore lucente di una torcia elettrica che le illuminò il volto, sul quale si era nuovamente impresso il terrore che all’istante la paralizzò. Fece appena in tempo a vedere un’ascia che sibilava sinistramente nell’aria, dopodiché la sua testa rotolò per terra con un tonfo sordo. Il primo dei due boscaioli che, con un solo colpo, aveva mozzato il capo della loro ennesima vittima, raccolse carinamente da terra quella povera testa grondante sangue tenendola ben stretta per i capelli, quindi la porse gentilmente al proprio compare, il quale la depose con molta cautela e delicatezza, all’interno di una capiente gerla di vimini. Era un altro trofeo, per il momento l’ultimo, da aggiungere alla loro già nutrita collezione di teste di strega, ossia delle teste delle streghe che avevano osato radunarsi per il “Sabba” al cospetto di Satana nei boschi di esclusiva proprietà dei due spaccalegna. Appunto, il Sabba, ossia un convegno notturno di streghe lontano da occhi indiscreti che, solitamente, si svolgeva nelle notti fra il sabato e la domenica. Ebbene sì, in effetti, quell’inverno, i due boscaioli avevano davvero fatto un ottimo lavoro nei propri boschi. Senza dubbio una grande pulizia, sotto ogni punto di vista! I due lasciarono a terra il corpo decapitato della giovane, inesperta e sfortunata strega Angelica. Al più tardi, dopo cena, sarebbero tornati a prelevarlo, mentre l’indomani mattina l’avrebbero fatto a pezzi e messo nel congelatore, in attesa di farne in seguito degli ottimi arrosti in forno. Finalmente, quindi, i due, dopo quella loro grande faticaccia giornaliera, misero piede in casa, naturalmente accompagnati dal loro ultimo e macabro trofeo, una giovane testa tronca dai capelli biondi e lunghi, che presto avrebbe fatto compagnia alle altre teste mutilate, custodite laggiù sotto, in cantina, nel ventre misterioso e nascosto dell’abitazione. E colà, ben alternate ai vini più pregiati, essi potevano comodamente osservare, a qualunque ora del giorno e della notte, quell’orrenda accozzaglia di teste mozze esposte in bella mostra, racchiuse in grandi teche di vetro trasparente, contenenti, ognuna almeno tre teste di strega galleggianti nella formaldeide. Quella sera, i due, avevano un grande appetito e per loro fortuna la cena era bell’e pronta! Infatti, le loro care mogliettine avevano preparato un ottimo stufato di rognone, così incredibilmente buono che risultava impossibile non rimanere colpiti e stregati, dalla bontà di una pietanza tanto gustosa e prelibata. Eh sì, è proprio vero quanto si dice: “Delle streghe e del maiale non si butta via mai nulla!”
Angelica C.
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