CUORE INGRATO - Thriller

E quando la luna diventò una lanterna, lei, sussurrando, con voce velata e sommessa, papale papale, mi disse che ero un perdente, che addirittura parevo un ibrido creato in laboratorio! Era troppo per me, per la mia dignità e per il mio prestigio. Non avrei tollerato un secondo di più quei suoi assurdi e ingenerosi insulti! La mia mano si irrigidì. Il mio volto si trasformò nel volto di una belva! Il mio sguardo divenne micidiale! Fu allora che nei suoi occhi vidi la paura. L’orrore la paralizzò. Sembrava fosse sotto ipnosi. Oramai quell’emerita stupida, quella grandissima troia, nonché pupattola ingrata, era completamente alla mia mercé. La pollastrella non provava alcuna gratitudine nei miei confronti! E pensare che l’avevo tolta dalla strada dove batteva, e che l’avevo ospitata a casa mia, l’avevo amata, nutrita e vestita! Sospettavo da sempre che fosse carente d’intelligenza, ma certamente non così, fino a quel punto. E poi era noiosa e priva di fantasia, soprattutto a letto, sì, davvero, nonostante il suo mestiere! E adesso la odiavo! Le sue chiacchiere insulse mi avevano davvero stufato. Le sue farneticazioni pure. Basta. Dovevo darci subito un taglio. I miei occhi brillavano di una primordiale e selvaggia eccitazione. Finalmente la mia sofferenza avrebbe avuto termine. E non parlatemi di dubbi o di ripensamenti! Non avrei avuto nessun senso di colpa nel togliere di mezzo quella disgustosa e volgare gallinella. I vermi, traboccando dal suo cadavere, avrebbero riso a crepapelle. Cominciai a menarle dei colpi talmente forti sul volto da fratturarmi le nocche. Ero in preda ad una titanica furia omicida. Quella velenosa schizzava sangue a fiotti dal naso. Si piegò in avanti, la colpii nuovamente più volte. Cadde a terra inerme, impotente. Allora aprii il cassetto delle posate, presi un grosso coltello da cucina, le piombai addosso e la pugnalai decine e decine di volte in ogni parte del corpo fino a quando non fui sicuro che fosse veramente morta. E, infatti, lo era. Non c’erano dubbi. Quella caterva di fendenti era stata davvero letale. Il suo sangue era schizzato in ogni dove, aveva imbrattato persino il mio corpo e il volto, era zampillato come una fontana! Attorno al suo cadavere si era formato un lago di sangue. Ero troppo stanco, così feci una bella doccia ristoratrice, poi sopraffatto dal sonno mi coricai a letto. Una bella dormita mi avrebbe rimesso in sesto. L’indomani mattina avrei lavorato parecchio. Avrei dovuto sezionare la salma, poi l’avrei messa in tanti sacchi della spazzatura, e nella notte gli avrei caricati e trasportati sul mio furgone e, strada facendo, scaricati a qualche chilometro di distanza gli uni dagli altri nei vari cassonetti disseminati per la strada. Ovviamente avrei dovuto lordare il pavimento, le pareti e i mobili di cucina del sangue versato dalla sgualdrina. Insomma, un lavoro da certosino, certamente un lavoro eseguito a regola d’arte. Tranquilli! Non era mica il primo! Ormai avevo già una certa esperienza.


Fugazziele.

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