Il mondo si divide tra coloro che hanno fiducia nei proverbi e quanti, spesso a ragione, in essi percepiscono un’aria di chiuso e di scontato. Per Carlo Laurenzi, giornalista e scrittore livornese, direttore della “Fiera Letteraria” e collaboratore della “Stampa” e del “Corriere della sera”, il proverbio “ci livella nell’abbiezione della prudenza”. Un giudizio severo ma formulato cinquant’anni fa, quando era prassi consueta, soprattutto fra gli intellettuali, rovesciare i punti di vista e ribaltare il senso comune: e, diciamo la verità, lì, negli adagi popolari, poche parole per dettare modeste norme di vita, di conformismo ce n’è davvero tanto. Più disponibili nei confronti dei proverbi i nostri Romantici, innamorati del popolo e della sua efficace espressività. Così il toscano di Monsummano, Giuseppe Giusti, poeta, scrittore e patriota li loda perché sono “un autentico tesoro di lingua viva e schietta… espressione sintetica della millenaria saggezza d’un popolo, mettendone in debito risalto i pregi e i difetti, le qualità e i limiti”. Né minore appare in proposito l’entusiasmo di Niccolò Tommaseo scrittore, linguista e ardente sostenitore della causa nazionale: “i proverbi italiani, i proverbi delle nazioni tutte, quello, dopo la Bibbia, sarebbe il più filosofico, il più poetico, il più sublime dei libri”. Ma due secoli or sono era un tempo in cui qualsiasi manifestazione dell’animo popolare diventava una bandiera da sventolare contro gli oppressori e i tiranni della patria. Oggi, riguardo al loro valore normativo ci andiamo un po’ più cauti e siamo più propensi a dare ragione a uno scrittore e giornalista come Ugo Ojetti che già un secolo fa ci metteva in guardia sulla reale carica di verità presente nelle massime e nei motti diffusi: “I proverbi o ripetono logore verità con l’aria saputa di chi vedendo il sole ti avverte che è giorno, o si contraddicono l’un l’altro tanto bene che alla fine la cosiddetta saggezza dei popoli sembra riassumersi in una massima sola: – Règolati come ti capita, ché forse avrai ragione”. Antonio Tolomei, vulcanico operatore culturale lucchese che senza badare agli anni si muove agilmente tra musica, poesia, scrittura sempre ispirate a una tenace difesa delle tradizioni, innamorato della sua terra e della sua gente, ci fornisce in queste pagine un repertorio vasto, anche se non esaustivo, delle massime, degli adagi, delle sentenze e dei motti ancora presenti e circolanti nel suo territorio. L’Autore, presta una particolare attenzione - e come potrebbe essere altrimenti? – a quelli più diffusi nelle campagne intorno a Lucca, quella Piana che ancora una volta si rivela come uno straordinario serbatoio di saperi contadini, sotto metafora o in rima, legati di solito alle pratiche religiose e devozionali, al ciclo delle stagioni e ai lavori nei campi, al cibo, alla salute… E ne arricchisce il repertorio con aforismi originali, aneddoti e piccole storie di personale invenzione, ma assolutamente fedeli allo spirito della saggezza diffusa nelle campagne di questo lembo di Toscana. Per questo, si parva licet componere magnis, è in buona, anzi ottima compagnia, Antonio Tolomei: nientemeno che quella dell’insigne filosofo greco Aristotele per il quale i proverbi sono nient’altro che “avanzi dell’antica filosofia, conservatisi fra molte rovine, per la loro brevità e opportunità”. E, lo sappiamo tutti, è proprio con gli avanzi che si ottengono cibi sostanziosi e sapidi come pochi altri. Che so, la ribollita oppure i minestroni di fagioli! Luciano Luciani
Antonio Tolomei, Col senno di poi. Posologia prima di dire o di fare. Saggezza in pillole, pp. 72, MWS Capannori (Lu), 2021, Euro 12,00
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