Circa mezzo millennio fa, in questa nostra magnifica città che porta il nome di Lucca, fu deciso, per motivi ben noti ai più, di rivedere per la terza volta la muraglia protettiva, munendo il perimetro che tutt’oggi la racchiude di una nuova e possente fortificazione. Da tanto si ragionava nella città di porre finalmente mano alla sua difesa, ma l’enormità della spesa necessaria e forse ancor più la proverbiale parsimonia dei cittadini lucchesi, furono causa di pesanti ritardi nell’esecuzione dei lavori. Mentre però correva l’anno 1589 e per la precisione il 5 del mese di aprile, tal Balbani Francesco, spettabilissimo cittadino lucchese, mostrava agli Anziani della città un progetto che proveniva dalle Fiandre, quale dono di Alessandro Farnese che quelle terre governava per conto di Sua Maestà Cattolica il Re di Spagna. Il Farnese, rinomato esperto nell’arte militare, nel nome dell’antica amicizia verso la nostra città, mandò a Lucca, assieme al progetto suddetto, anche un fraterno monito agli Anziani, che proprio a lui si erano rivolti, tramite il Balbani, per avere consigli su come migliorare le difese cittadine. Egli raccomandava caldamente ai lucchesi di procedere rapidamente alla fortificazione, perché tempi foschi si vedevano all’orizzonte e la città non doveva farsi cogliere indifesa. Da subito partirono i lavori per il completamento della muraglia di cui, fino ad allora, solo di due baluardi, una piattaforma e poco altro di moderno si era visto il compimento. Passarono 50 anni ancora e la muraglia fu completata. Ma come ben sapevano gli esperti di cose militari dell’epoca, non vi era muraglia, per quanto ben costruita, che lungamente potesse resistere all’artiglieria nemica, se essa stessa non fosse stata munita di possenti artiglierie. Così, nel mentre che i bastioni iniziavano a ergersi maestosi, la Repubblica pose mente anche al come munirli delle indispensabili artiglierie. Poiché mancavano in Lucca le necessarie competenze fu chiesto all’amica Genova di fornire un valente fonditore per porre mano all’impresa e l’Offizio sopra la Munizione da Cortile (la magistratura lucchese che aveva competenza sugli armamenti), il primo novembre del 1590, ingaggiò con atto scritto Vincenzo II Gioardi, membro di famosissima famiglia di fonditori genovesi. Giunto a Lucca assieme all’aiutante e nipote Evangelista Borghini, che ben presto seguirà le orme dello zio, divenendo anch’egli valentissimo fonditore, il Gioardi si mise da subito all’opera. In poco meno di quattro decenni, i due fonditori realizzarono in Lucca almeno 87 (forse più), splendide e possenti artiglierie in bronzo. Tutte quelle artiglierie, così come molte di quelle che seguirono negli anni successivi, furono realizzate nella fornace di Lucca che fu appositamente costruita proprio per lo scopo. E fu forse proprio su suggerimento dei genovesi che la fornace si realizzò in elevazione, per impedire che la sottostante fossa di alloggiamento delle casseforme, in cui si riversava il getto, fosse disturbata dalla presenza dell’acqua della vicina falda. Dopo che ebbe onorevolmente svolto la funzione per la quale era stata costruita, la fornace cadde nell’oblio, ma si salvò comunque dalla distruzione perché l’edificio che la ospitava fu a più riprese destinato a caserma e pare plausibile che i nuovi inquilini abbiano considerato che la struttura, che un tempo aveva sfornato il bronzo dei cannoni, con poche modifiche, poteva continuare a sfornare gustose pagnotte per la truppa. Ma dopo che anche questo uso le fu precluso, la nostra fornace riprese il suo sonno, fino a che, in tempi più recenti un giovane ufficiale della Folgore, Vittorio Lino Biondi, che prestava servizio proprio nella caserma Lorenzini, dove si trova il locale che contiene il manufatto in questione, si accorse della sua presenza. Successivamente l’ufficiale fu trasferito in altra sede, ma anni dopo, nel 2009 credo, fece menzione dell’esistenza di quello strano manufatto al geometra Bruno Giannoni, che da appassionato rievocatore, con particolari competenze nel campo delle artiglierie storiche, si interessò alla cosa riuscendo anche a reperire una buona documentazione archivistica. Confrontando i rilievi fatti sul posto con una planimetria del 1574, firmata dall’architetto militare Alessandro Resta, Giannoni giunse alla conclusione che, con ogni probabilità, il manufatto ritrovato era uno dei forni fusori per artiglierie dell’antica Repubblica di Lucca. Avvisate le autorità competenti, lo stesso Giannoni pubblicò sul sito dell’associazione Historica Lucense, di cui era presidente, nonché fondatore, la documentazione relativa alla ritrovata fornace. La notizia giunse anche all’archeologo genovese dottor Renato Gianni Ridella, uno dei massimi esperti in materia sia a livello nazionale che internazionale, che si mostrò molto interessato al ritrovamento. Il professor Ridella, dopo aver personalmente visionato la fornace ne confermò le caratteristiche tipiche del forno fusorio per artiglierie, facendo oltretutto presente che la fornace di Lucca era la “sola costruzione cinquecentesca di questo tipo sopravvissuta fino ai giorni nostri” e che inoltre costituiva “un’importante testimonianza del livello tecnologico raggiunto dalla metallurgia in quel tempo”. Il professor Ridella prese dunque molto a cuore la cosa, divulgando la notizia del ritrovamento anche in sedi internazionali, dove furono riscontrate numerose manifestazioni di interesse, ed esprimendo in più occasioni il desiderio che la fornace lucchese fosse sottoposta ad approfondite indagini, restauro e valorizzazione fruitiva.” Esaminata dunque e ufficialmente riconosciuta quale madre delle possenti artiglierie che un tempo ornavano le nostre Mura, fu chiesto alle competenti autorità di salvaguardare ripulire e rendere visitabile il manufatto. Ma nonostante l’interesse suscitato dalla nostra fornace negli studiosi della materia (soprattutto stranieri, proprio perché tal tipo di monumento, nella forma intatta, è unicamente presente nella nostra città), per ragioni che a tutt’oggi risultano occulte e incomprensibili, la pesante coltre dell’oblio di nuovo si distese sul pregevole manufatto cinquecentesco. A squarciare l’oblio pare sia intervenuto il Fato birichino, facendo crollare parte del tetto dell’edificio, in cui la fornace dorme in condizioni di vergognoso degrado, ricoperta dagli acidi escrementi di irrispettosi pennuti. Ma se dallo squarcio le malevole acque piovane possono definitivamente danneggiare le strutture della fornace, togliendo definitivamente alla nostra città questa preziosa testimonianza archeologica, lo stesso squarcio può contribuire, invece, alla sensibilizzazione di noi, che ancora desideriamo onorarci dell’appellativo di Cittadini Lucchesi, affinché il nostro non silenzio e la nostra non indifferenza possano influire sulle decisioni delle competenti autorità, inducendole a considerare che con poca spesa, in fondo, si può salvare e rendere visitabile il luogo dove si fabbricarono le splendide artiglierie che completavano le Mura. Di certo faremo buon servizio alla nostra amata Lucca, perché non dobbiamo mai dimenticarci che se son tante le cose che rendono bellissima la nostra città, alcune la rendono unica e tra queste il primato spetta, senza alcun dubbio, a quell’eccezionale monumento di architettura militare che sono le Mura, con tutto ciò che per ragioni operative era all’epoca a loro collegato, ivi compresa la Fornace delle Artiglierie.
- Mario Parensi – Historica Lucense
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