ABOLIRE IL CARCERE. UN ATTO DI CIVILTÀ PER LA GIUSTIZIA ITALIANA ABOLIRE IL CARCERE Un atto Civiltà per la giustizia italiana
Carlo Taormina
Italia Mensile
Il sistema penale italiano, contrariamente a quanto solitamente si afferma, è caratterizzato da un altissimo e diffusissimo regime sanzionatorio.
Il carcere da misura eccezionale da riservare ai comportamenti criminali violenti contro le persone e contro la società è divenuto un abusivo sistema
di compressione delle libertà laddove sia riferito a beni protetti importanti ma non essenziali.
Nessuna fantasia è mai stata esercitata per fare in modo che la Costituzione venisse attuata allorchè richiede che la pena sia strutturalmente rieducativa, ciò che significa che il carcere vada evitato ogni volta che rieducativo non sia.
La logica repressiva alla quale si abbevera il nostro ordinamento penale sulla spinta becera e manovrata di una opinione pubblica che deve essere solo accontentata e mai adeguatamente governata e indirizzata alla comprensione ed alla tolleranza, si esprime sistematicamente con
l’aumento delle pene carcerarie a fronte di qualsiasi dibattito che si inscena al verificarsi di un qualsiasi episodio delittuoso.
Siamo giunti alla situazione che si paga meno un omicidio che una corruzione e che sia preferibile commettere una rapina piuttosto che un reato d’opinione.
Nessuno si fa carico della situazione delle carceri e bisogna entrarvi per capire di quale livello di vergogna e di schifo si macchia giornalmente il
nostro Paese: al sovraffollamento, all’abbandono ad una sorte di animali cui sono lasciati cittadini italiani, alla condizione da ammasso di cervelli
cui i detenuti sono costretti a vivere, si aggiungono le gravi, spesso mortali,
conseguenze derivate dalla pandemia: non sta scritto in nessuna norma costituzionale che una detenzione rispettosa della natura umana debba essere sopravanzata dal maltrattamento, dall’invivibilità, dalla riduzione allo stato bestiale; come non sta scritto da nessuna parte che sia ammissibile il carcere duro e che la sofferenza per la pena debba essere inferiore o superiore a seconda dei casi: la detenzione deve essere rispettosadi tutti i diritti umani e deve garantire la possibilità di vita decorsa e attuativa della personalità fisica e morale.
La storia insegna che ogni sistema imperfetto o inaccettabile contenesse dentro di sé sempre gli antidoti attraverso i quali si può pervenire ad una sorta di riequilibratura.
Nel nostro Paese, giusto o sbagliato che sia, l’antidoto è sempre stato costituito dai provvedimenti di amnistia e indulto con i quali, per un verso si riparava alla eccessività del numero di reati e per un altro verso alla eccessività abnorme delle pene, soprattutto dopo l’invalere dell’abitudine a dare in pasto all’opinione pubblica aumenti di
galera per placare la voglia di sangue.
Di qui l’incarognirsi del sistema penitenziario, il sovraffollamento, la
bestialità del trattamento dei detenuti e la istituzione di barriere a qualsiasi
restituzione dei colpevoli alla rieducazione ed al contatto con il mondo esterno, anzitutto con le famiglie e con il lavoro.
Sono quindici anni che questo meccanismo di riequilibratura non funziona, sono quindici anni che la vita penitenziaria si è trasformata in un inferno, sono quindici anni che la Costituzione è stata sospesa perché la rieducazione è diventata una chimera.
La conseguenza è quella che tutti osserviamo: l’incancrenimento del mondo delinquenziale e la sua nascita come contraltare al potere dello Stato perché questo accade quando a
principi di libertà di sovrapporre l’oppressione della dittatura giudiziaria.
Credo che, se si vuole riprendere un cammino di restaurazione del rispetto dei diritti umani e di difesa della società dalla ingravescente barbarie, si debba cominciare dal carcere, tornando ad una amnistia e ad un indulto ragionati ben organizzati che decongestionino gli istituti penitenziari e agevolino una riforma radicale del sistema giudiziario che renda assoluta rarità la detenzione carceraria e che si arricchisca di alternative capaci di contemperare il trattamento di chi ha commesso errori con una vita sociale adeguata pur se controllata.
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