LO ZEN E L'ARTE DI TOGLIERE IL SALUTO AL VICINO DI CASA

LO ZEN E L'ARTE DI TOGLIERE IL SALUTO AL VICINO DI CASA

DI PERSONALITÀ CONFUSA

Alla fine ci sono riuscito: ho tolto il saluto al mio vicino di casa, e lui ora è costretto a ricambiare. E''stata dura, ci sono voluti mesi e mesi di allenamento in lenta progressione. Ma il risulto può dirsi pienamente raggiunto. Adesso quando ci incontriamo - in strada, per le scale o davanti la porta - lo ignoro, come se fosse incorporeo. Si dirà: perché tanta cattiveria? Che male ti ha fatto costui?

Nulla. Né conosco i suoi sentimenti verso di me. Egli probabilmente penserà: questo non mi saluta e allora neppure io. Ma la mia non è maleducazione, casomai un esercizio spirituale di misantropia ascetica. Quest'uomo non lo conosco affatto, ho sempre evitato la sua conversazione. Mi mancano gli elementi per giudicarlo in maniera negativa o positiva. Provo per lui una antipatia di pelle. Si tratta di un'intuizione, a occhio, mi sembra un cretino. Non è abbastanza per trascurare del tutto il suo atto arrogante di perseverare ad esistere? E per di più di vivermi vicino, nonché di starmi sempre fra i piedi?

L'esercizio si è svolto in evoluzione, per gradi. Nei primi incontri ho preso a rivolgermi a lui con un “buongiorno” sempre più sgarbato. Nei mesi successivi, togliendo una lettera alla volta, sono perciò passato dal 'uongiorno, via via accentuando la malavoglia, fino a 'ngiorno. Poi piano piano a 'giorno, senza enne, per giungere a un gelido quando sfacciato 'rno, mormorato a bocca quasi chiusa. Alla fine lo salutavo con un semplice grugnito.

La prima fase poteva dirsi superata. Ma non bastava ancora, mi son detto. Ho quindi iniziato a sostituire il saluto verbale con formule mute. Un mezzo sorriso, un cenno del capo. Quale riscontro sociale mi pareva più che sufficiente. Ma dopo? Come potevo ridurre ulteriormente l'interazione?

Per arrivare a questi livelli occorre pratica e un'attitudine a recitare. Ho cominciato a fingere di non vederlo. Se incappavo in lui, simulavo di dover voltarmi dall'altra parte a scrutare qualcosa, o di esser distratto. O di badare ad altre persone evidentemente più importanti di lui, poste in un'altra direzione. L'arte di ignorare gli umani va coltivata con cura. Lui prima cercava il mio sguardo, quasi stupito che gli sfuggissi a quel modo. Infine, giorno dopo giorno si è rassegnato.

Stamane, il capolavoro: uscendo di casa mi sono ritrovato l'oggetto del mio esperimento di fronte, e come al solito lo fissavo senza aprire bocca, come se al suo posto vi fosse il vuoto. L'ho però urtato, ma senza chiedergli scusa, per poi mollarlo lì, incredulo. Dopo avergli girato le spalle, mentre me ne andavo, lo sentivo protestare. Eppure dovrebbe mostrarmi gratitudine. In un certo senso, gli ho offerto un potere straordinario: il dono dell'invisibilità.

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