La guerra in Ucraina spacca l’estrema destra tra Kiev e Mosca

Già all’indomani della cosiddetta Rivoluzione di Maidan, che ha portato, nel 2014, alla destituzione del presidente filo-russo Viktor Yanukovich, esiliato a Mosca (oggi risiede a Minsk) e alla sua sostituzione prima con Petro Poroshenko e poi con Voldymyr Zelensky, entrambi inequivocabilmente filo-occidentali e fermamente anti-russi, il mondo della destra radicale, un po’ ovunque, e in Italia in particolare, ha subìto una spaccatura, tra putiniani e anti-putiniani, e quindi tra Russia e Ucraina.



Già allora, Popoff Quotidiano, sito di informazione online fondato nel 2012 da un collettivo di giornalisti, scrittori, film e videomaker, fotogiornalisti di sinistra, descrisse la contrapposizione – nello specifico tra CasaPound (pro Kiev) e Forza Nuova (pro Mosca) come «derby nero in Ucraina». Il sito, tra l’altro, metteva in evidenza la contraddizione proprio di CasaPound che da fiera anti-europeista schierandosi con Kiev avallava, nemmeno tanto implicitamente, il desiderio dell’Ucraina di far parte dell’Ue, e di Forza Nuova, passata dallo stare con Kiev (di qui i costanti e amichevoli contatti con l’altro movimento nazionalista di estrema destra ucraino, lo Svoboda) allo stare con Putin. Non si tratta solo di prese di posizione ideali e culturali: abbiamo testimonianze della partecipazione di militanti di CasaPound tra le fila del movimento di estrema destra Pravy Sektor e nelle “squadracce” nere del battaglione Azov (famoso, tra l’altro, per la brutalità con cui ha operato e sta operando nei confronti dei civili del Donbass filorusso), e di militanti di Forza Nuova andati a combattere con i separatisti del Donbass.

Quel filo-atlantismo della destra mal digerito dalle frange extraparlamentari

E di contraddizione si dovrebbe parlare – cosa peraltro che implica inevitabilmente qualche imbarazzo e forse qualche mal di pancia tra i sostenitori – anche nel caso di Lega e Fratelli d’Italia. Se Matteo Salvini è passato dalle lodi sperticate a Putin al prendere posizione a favore di Zelensky, perché l’uno è l’aggressore e l’altro l’aggredito, e allora è giusto stare con quest’ultimo, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ancora di recente, a Orlando, in Florida, durante la conferenza annuale dei conservatori (Cpac) fondata da Ronald Reagan nel 1974 lo ha affermato senza esitazioni: «Noi sappiamo che il lato giusto è l’Occidente… Siamo dalla parte del diritto internazionale, siamo dalla parte della libertà, e, in definitiva, siamo dalla parte di una nazione orgogliosa che sta insegnando al mondo cosa significhi combattere per la libertà». Non è di ieri il filo-atlantismo dell’estrema destra parlamentare (lo era già il vecchio Msi), ma proprio su questo terreno si consuma, da sempre, una profonda divergenza, una vera e propria antitetica visione del mondo, con le frange “extraparlamentari” della destra radicale (nelle sue varie espressioni) che ha sempre fatto dell’anti-americanismo un caposaldo del suo impianto ideologico e valoriale. Basti ricordare, per tutti, un paio di celeberrimi saggi di Alain De Benoist, guru indiscusso della Nouvelle Droite francese, come Il male americano e Il nemico principale.






La destra radicale, l’anti mondialismo e l’Eurasia

La posizione tenacemente anti-americana della destra radicale si esprime, evolvendosi e affinandosi, nel corso degli anni (e dei decenni), di pari passo con l’evoluzione geopolitica, economica, sociale e culturale mondiale. Sempre più, il nemico principale diviene la globalizzazione – o mondialismo -, che degli Stati Uniti, ovvero degli interessi del suo impianto economico capitalista (finanziario) e politico liberista, è figlia diretta. A questa politica super mercantile e iper materialista che si insinua in tutto l’Occidente contaminandolo proprio come un virus, la destra radicale – che di volta in volta sposta il proprio baricentro valoriale “antagonista” proponendo diversi modelli che, convenzionalmente, vanno dal nazional-rivoluzionarismo al nazionalcomunismo al rossobrunismo, e così via – propone una visione che, superando la tradizionale dicotomia tra destra e sinistra, possa alimentare un modello di sviluppo anti-mondialista. Un modello basato sull’idea imperiale, ma non imperialista (una versione moderna dell’Impero romano o quello dell’antica Grecia), come superamento di ogni limitazione nazionale e che dia la possibilità di instaurare una relazione organica tra popoli che pure hanno tradizioni ed etnie diverse, ma che vantano comuni radici indoeuropee e, soprattutto, grazie ai diversi imperi succedutisi nella storia, la sperimentazione di un tipo umano comune che ha promosso, e permesso di tramandare, la Civiltà e i diversi modelli politici di riferimento. Questo “impero” dovrebbe anche avere un luogo fisico in cui affermarsi, quello dell’Eurasia, termine coniato dal belga Jean Thiriart, fondatore della Giovane Europa, che, negli Anni 60, contrapponeva all’Europa americanizzata uno spazio che andasse da Dublino a Vladivostok come cuore geopolitico e geostrategico del mondo.


Il filosofo russo Aleksandr Dugin, soprannominato il Rasputin di Putin.

Dugin e il progetto di fermare il processo dell’occidentalizzazione made in Usa

Il tema dell’Eurasia è stato, in anni più recenti, rilanciato e riattualizzato dal filosofo e pensatore russo Aleksandr Dugin (definito, con molta approssimazione e forse anche sopravalutazione l’ideologo, anzi, il Rasputin di Putin), fautore della cosiddetta “quarta teoria politica”, ovvero di un rinnovato nazionalbolscevismo che superi fascismo, comunismo e liberalismo per plasmare una nuova civiltà (eurasiatica, appunto) di stampo imperiale. Per Dugin il liberalismo e l’atlantismo sono assolutamente incompatibili non solo con l’anima russa, ma con l’essenza stessa dell’Eurasia: la sfida americana è globale, e globale deve essere la risposta. L’Europa occidentale, secondo il filosofo, non appartiene in senso stretto allo spazio eurasiatico (che filologicamente è uno spazio che nasce dalla simbiosi tra Russia, mondo turco-musulmano e persino cinese), è un mondo distinto, indipendente, ma può trovare nella Russia un prezioso alleato per combattere le tendenze egemoniche atlantiste. Chiaro, pertanto, che alla Russia spetta il compito di condurre, oltre le sue frontiere, la sfida globale all’invadenza (e all’invasione) americana. Ed è altrettanto chiaro che spetta al leader della Russia, Vladimir Putin, guidare e realizzare il progetto culturale e politico eurasiatico, creando un nuovo spazio di civiltà, tradizione, religioni che possano convivere in ragione di un obiettivo comune: quello di fermare il processo totalitario dell’occidentalizzazione made in Usa.

Per Murelli e i cosiddetti neonazisti ucraini non sono che «liberisti in maschera»
Certo, resta il tema della presenza significativa dei molti gruppi di estrema destra ucraini che lottano invece per l’indipendenza del Paese e sembrano del tutto insensibili alle sirene eurasiatiche e dunque filo-russe. E che quindi dividono il mondo della destra radicale, anche nostrano. A questo proposito, Maurizio Murelli, una delle personalità più carismatiche e autorevoli della destra radicale italiana, che da tempo ha abbandonato posizioni passatiste e facilmente etichettabili come fasciste o neofasciste per proporre ricette antagoniste del tutto sincretiche e originali, ha idee molto chiare. Per Murelli, l’immagine e la definizione che si danno dei neonazisti ucraini sono del tutto superficiali e fuorvianti: perché si tratta né più né meno che di «liberisti in maschera che hanno ideologizzato il banderismo/fascismo. Insomma, pari pari come alcune frange neofasciste italiche che stanno al fascismo come la marmellata alla carbonara». «La cosiddetta ‘rivoluzione di Maidan’ 2014», insiste Maurizo Murelli, «è stata in realtà un golpe mascherato eterodiretto da Usa-Inghilterra. A sostenerlo sul terreno i nazisti dell’Illinois in salsa ucraina, ovvero nazisti non secondo il cliché Anni 30-40 della Germania, ma impressi con il cliché realizzato dai demoliberisti». Di fronte alle provocazioni occidentaliste, inutile dire per chi il vero cuore antagonista debba battere: «La Russia ha deciso di non farsi annientare come realtà geopolitica, culturale e ha reagito come poteva: non gli è stata lasciata altra chance. Gli Usa volevano disarticolare l’intesa Ue-Russia, recuperare in toto il mercato europeo e hanno portato l’Ucraina a farsi agente provocatore. Ci sono riusciti. Ma non sono riusciti a congelare le istanze della tradizione europea anestetizzate nella Ue e sopravvissute, come visione del mondo, in Russia. Per questo, per quel che mi riguarda oggi la mia patria, il luogo ove ci si batte per le mie idee è la Russia».



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Estratto da www.lavocedilucca.it/post.asp?id=91710
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