Lezioni di piano Diciottesimo giorno di guerra, domenica. Intanto vorrei ringraziarvi tutti, uno per uno, per aver partecipato finora a una discussione difficile senza disumanizzare chi non la pensa come voi: né eroi né vigliacchi, né servi di questo o di quell’altro. Per il resto non invidio chi non ha incertezze, chi è sicuro di sé e feroce nel giudizio sugli altri. La libertà, anche quella di pensiero, è spesso tormentata da dubbi, è autocritica, non è un atto blindato di fede. Però su qualcosa, in questo Paese conformista, possiamo essere tutti d’accordo senza vergognarcene: bisognerebbe fermare il massacro annunciato di Kiev, evitare che la capitale ucraina sia una Mariupol in grande. Non ci sono molte alternative: - Si tratta, a Gerusalemme o altrove. - Non lo si ferma. Le truppe di Putin sferrano l’attacco. Costerà ingenti perdite loro, ma anche lo spianamento di rifugi e nidi di resistenza. La leadership ucraina sfugge al cerchio, e governa sull’ovest del paese, o in esilio, oppure si sacrifica e passa alla storia. - Putin viene fermato da un colpo di mano interno, a Mosca - L’esercito russo si attesta attorno a Kiev ma non muove all’attacco, aspetta di prendere la preda per fame, e intanto guadagna terreno nell’est e nel sud del paese, la questione Kiev diventa la questione Odessa - La resistenza ucraina vince, imboscata dopo imboscata, l’attacco viene respinto Alcune sono ipotesi remote, ma tutte rimandano a una domanda: che facciamo noi ? Passare armi a Kiev: non cambia le sorti del conflitto, e accresce il rischio di coinvolgimento, dopo che i convogli sono stati definiti obbiettivo militare. Aiuto umanitario: sacrosanto. Supporto alla diplomazia: nullo. Il clima informativo, politico, culturale è quello di una escalation. Circola un video prodotto a Kiev, dove con tecniche da videogioco si mostra Parigi sotto bombardamento. La frase che chiude la scena è semplice: “Se noi cadiamo, tu cadi”. Se in gioco contro il nuovo Hitler non è la Nato, ma l’Europa, se in gioco sono i nostri valori, la nostra stessa sopravvivenza, se in ballo è il rispetto di noi stessi – come tollerare inerti le stragi ? – allora la no fly zone è un dovere. Basta che ce lo dicano, facendo l’appello per vedere se qualcuno ha marcato visita. Devono convincerci che i russi, che da comunisti mangiavano i bambini, adesso bombardano ospedali per non farli nascere. Devono convincerci che torturano e uccidono apposta i civili per spargere il terrore. Devono convincerci che Stepan Bandera è uno dei fratelli Rosselli, che il Donbass è stato un incruento Sudtirolo, che Zelensky è l’uomo del destino, e non un leader tanto coraggioso quanto incauto. A me non serve: mi basta sapere che uno è l’aggressore e l’altro l’aggredito, per dare un giudizio in punta di fatto, e sperare che ci si fermi, non che si vada fino in fondo e a fondo, tutti, russi cattivi e ucraini buoni e noi con le nostre piccole truffe sui carburanti, gli inganni sulla pelle dei profughi, gli eroismi di carta e l’irrilevanza dei leader politici, la generosità semplice di chi invia e porta pannolini e latte. Ma per sperare che si negozi, che non si rotoli verso l’ineluttabile, mi basta il video di quella giovane donna che suona per l’ultima volta il pianoforte di casa sua. E’ solo Kharkiv.
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