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10 APRILE LA SOCIETA' DELLA CURA A LUCCA |
IL 10 APRILE LA SOCIETA’ DELLA CURA SCENDE IN PIAZZA PER LANCIARE IL RECOVERY PLANET
IN TUTTA ITALIA E ANCHE A LUCCA - PIAZZA SAN MICHELE – ORE 17
E' in arrivo un bastimento carico di miliardi. Si chiama Next Generation EU, ma non punta verso le generazioni che verranno, né a garantire il futuro della vita sul pianeta. E' orientato da Crescita – Concorrenza – Competizione. L'esatto contrario di ciò che la pandemia ci ha insegnato: nessuno si salva da solo, siamo persone interdipendenti fra noi e con l'ambiente che ci circonda. Il governo Draghi sta predisponendo il Recovery Plan per l'accesso ai fondi europei: non si intravede alcuna inversione di rotta, nessuna conversione sociale ed ecologica della società, ma solo una modernizzazione green e digital dell’attuale modello fondato sulla predazione della natura e su una diseguaglianza crescente. E' un piano scritto da un esiguo numero di “esperti”, senza alcun dibattito pubblico ampio e partecipativo per coinvolgere la parte attiva della società, quella che si è autonomamente adoperata con mutualismo e solidarietà per sostenere chi dalla pandemia è stato precipitato nella disperazione. Serve un cambio di paradigma e un nuovo modello di convivenza: la società della cura, che sia cura di sé, delle altre e degli altri, dell'ambiente, del vivente, della casa comune e delle generazioni che verranno. E’ possibile e necessaria una fuoriuscita sociale dalla crisi.
Abbiamo bisogno di un reddito universale, che renda più forte anche individualmente i lavoratori dipendenti e autonomi sul mercato, mettendoli in grado di rifiutare lavori indecenti. Un reddito effettivamente universale costringerebbe di fatto le imprese italiane a non puntare più al contenimento della dinamica salariale, ma ad un aumento della produttività e della qualità dei prodotti. Reddito universale e lavoro di qualità in termini di diritti e garanzie per i lavoratori sono strutturalmente legati. La disoccupazione tecnologica, dovuta all’informatizzazione e robotizzazione della produzione, può essere arginata con la riduzione del tempo di lavoro a parità di salario, magari coprendo temporaneamente l’aumento dei costi per le imprese con trasferimenti statali con vincoli di destinazione. Reddito universale, lavoro di qualità in termini di diritti e riduzione del tempo di lavoro determinerebbero un rialzo della domanda aggregata e una ripresa produttiva e dell’occupazione. In particolare, l’occupazione femminile, la più danneggiata dal lockdown, deve essere incentivata da periodi di maternità prolungati e congedi parentali finanziati dalla spesa pubblica, da un effettivo assegno unico universale per ogni figlio a carico, da più efficaci servizi sociali e un migliore bilanciamento dei tempi di lavoro e di vita. L’occupazione giovanile va garantita con il lavoro di qualità in termini di diritti e la riduzione della precarizzazione, la riduzione del tempo di lavoro e l’abbassamento dell’età pensionabile.
Bisogna puntare ad un’inversione di tendenza in merito ai disastri ecologici e al cambiamento climatico provocati dal capitalismo, usando poteri di diritto pubblico. Vanno eliminati tutti i Sussidi Ambientalmente Dannosi, confermato il No al ricorso all'energia nucleare e fermate tutte le produzioni e le infrastrutture legate all'energia fossile, destinando le risorse unicamente alla produzione di energia da fonti rinnovabili e privilegiando la generazione di piccola scala ai grandi impianti. Va rispettata la volontà popolare espressa nel referendum del 2011, sottraendo la l'acqua al mercato, alla Borsa e ai profitti e consegnandola alla gestione partecipativa delle comunità territoriali. Va finanziato un piano contro il dissesto idrogeologico e una strategia sui rifiuti urbani e industriali basata sull'economia circolare. Gli investimenti verso le imprese devono essere finalizzati alla conversione ecologica e sociale delle produzioni.
E’ sotto gli occhi di tutti l’urgenza di intervenire nel trasporto pubblico, non solo potenziandolo ma invertendo la tendenza verso l’aziendalizzazione e la privatizzazione che hanno caratterizzato gli ultimi decenni. I fondi del Recovery per la scuola, se usati per una digitalizzazione che provochi la subordinazione del docente alla macchina informatica o per asservirla agli interessi imprenditoriali con la scuola delle competenze addestrative, ne provocherebbero un ulteriore dequalificazione. Va rilanciato, invece, il modello di scuola pubblica previsto dalla Costituzione, basato su libertà di insegnamento, pluralismo didattico culturale e democrazia collegiale, puntando ad un’istituzione che rimetta al centro i saperi e lo sviluppo delle capacità cognitive per la formazione del cittadino. Quindi, investimenti massicci per la fatiscente edilizia scolastica, riduzione del numero degli alunni per classe, aumento degli organici e azzeramento del più alto tasso di precarietà del lavoro in Europa, aumenti salariali per ridurre il gap con i salari europei. I fondi previsti per la sanità vanno non solo aumentati, ma destinati anch’essi ad invertire la tendenza verso l’aziendalizzazione della sanità pubblica e la sua privatizzazione, che sono stati tra le cause principali dell’altissima mortalità in Italia rispetto al numero degli abitanti. Quindi, assunzione di medici e infermieri a tempo indeterminato, potenziamento delle strutture sanitarie pubbliche, loro radicamento sul territorio, presidi medici scolastici soprattutto con una logica di prevenzione. Inoltre, è assurdo che l’ UE abbia finanziato la ricerca sui vaccini senza che vengano messi effettivamente a disposizione di tutti: l’esclusiva ventennale dei brevetti di fatto impedisce l’accesso ai paesi più poveri per cui va perseguita una moratoria dei brevetti durante la pandemia.
Confederazione Cobas della provincia di Lucca – Società popolare di mutuo soccorso - Rifondazione Comunista – Potere al Popolo
Redazione - inviato in data 07/04/2021 alle ore 8.13.36
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- Il governo dei migliori! - da Anonimo - inviato in data 07/04/2021 alle ore 12.09.42
Il “migliore tra i migliori” è a Palazzo Chigi dal 13 febbraio scorso. Mario Draghi è Presidente del Consiglio dei ministri da 53 giorni. E’ passato poco tempo, è vero, ma da lui ci si aspettava rapidità, dinamismo, intraprendenza. E’ stato imposto da chi riteneva servisse innanzitutto correre oltre che denari freschi per ristorare famiglie e imprese fiaccate da un anno di una sopravvivenza che ha sempre meno a che fare con la vita propriamente detta.
Dal Messia ci si aspettavano miracoli, guarigioni, eleganti camminate sull’acqua. In Parlamento un’opposizione reale e non elettorale praticamente non esiste. Sulle colonne dei principali quotidiani non si trova uno straccio di critica. In pochi hanno il coraggio di dire la verità, ovvero che ad oggi, il presunto velocista non ha trovato un solo euro a sostegno delle categorie più disagiate. Ed oggi c’è più bisogno che durante la prima ondata.
I poveri si stanno moltiplicando. La fila di milanesi, italiani e stranieri, in attesa di un pasto caldo a due passi dalla Bocconi è un’immagine da pugno allo stomaco, un’immagine, tuttavia, che fa poco notizia, forse perché l’indigenza è diventata una condizione talmente collettiva da confondersi, tragicamente, con la normalità.
I dati della Caritas italiana sono allarmanti. I nuovi poveri, ovvero coloro che mai avrebbero pensato di diventarlo, aumentano, loro sì, velocemente. Pochi giorni fa, Federica De Lauso, ricercatrice dell’ufficio studi della Caritas italiana, fotografava una cruda realtà: non solo il numero di poveri assoluti è cresciuto di un milione in un anno passando dai 4,6 del 2019 ai 5,6 milioni di oggi, ma sono in aumento anche coloro che, nonostante abbiano un’entrata, non riescono più a soddisfare neppure le minime esigenze alimentari. Per questo, dignitosi e ben vestiti, si mettono in fila condividendo con gli indigenti assoluti una tragedia che meriterebbe più spazio di quel che riceve.
I nuovi poveri sono i padri separati, categoria spesso umiliata dalla Legge, sono i giovani e i giovanissimi ai quali la flessibilità ha regalato una minor qualità di vita. I nuovi poveri sono le donne con i figli piccoli, per loro la chiusura delle scuole è stata una tragedia difficilmente comprensibile. I nuovi poveri sono anche i cassaintegrati perché, in taluni casi, uno stipendio ridotto significa dover addirittura cambiare la dieta alimentare. E si tratta di rinunciare alla carne o al formaggio, mica al foie gras.
L’altro ieri, Il Sole 24 Ore, pubblicava un dato angosciante: la categoria più colpita dalla crisi è quella delle partite IVA fino a 100.000 euro di fatturato. I piccoli insomma, sono ancora una volta loro a pagare il prezzo più alto. Il 57 per cento delle attività che fatturano meno di 100.000 euro ha subito un calo di fatturato tra il 2019 ed il 2020 di almeno il 30 per cento. Se guardiamo alle fasce superiori di fatturato la percentuale di chi ha perduto il 30 per cento ed oltre si riduce considerevolmente.
I piccoli imprenditori si stanno trasformando, esattamente come avvenne nel 2011, in fantasmi. Si richiudono nelle mura di casa, tranquillizzano le famiglie mostrando tuttavia i segni del disagio, alcuni di loro si affidano agli strozzini che mai come oggi stanno facendo affari d’oro.
I prodigi di Super Mario altro non erano che la narrazione di un branco di tirapiedi. Sacrilegio? No, numeri, fatti e date.
Sono passati 12 mesi e 28 giorni dal primo lockdown. Lo dispose il governo Conte il 9 marzo del 2020. Appena 48 ore dopo, l’11 marzo, venne effettuato il primo scostamento di bilancio. Prima ancora che la pandemia si facesse sentire dal punto di vista economico e sociale il governo passato aveva stanziato 20 miliardi di euro per i ristori. Il 17 marzo, sei giorni dopo, il Consiglio dei ministri approvava il decreto Cura Italia, ovvero il provvedimento con il quale venivano erogati tali denari. Il 25 aprile il governo, approvando il Documento di economia e finanza, dava il via libera ad un secondo, corposo, scostamento di bilancio da 55 miliardi. Quattrini che verranno stanziati grazie al decreto Rilancio, approvato il 20 maggio, 25 giorni dopo lo scostamento.
Il 23 luglio il governo Conte varava il terzo scostamento di bilancio: 25 miliardi da spendere, soprattutto, per il pagamento della cassa integrazione. Prima dell’arrivo dell’estate, che si credeva potesse riportarci una dose di normalità, il governo precedente aveva stanziato 100 miliardi di euro. Dopo l’estate è arrivata la seconda ondata che ci ha stroncato economicamente e psicologicamente addirittura più della prima. Poi è tornato il virus. Durissime restrizioni a novembre, dicembre e gennaio con il Natale in rosso. Passate le feste si sarebbe dovuto parlare solo del sostegno economico da garantire alle categorie colpite dalla prigionia natalizia e invece è partita la commedia renziana.
Tuttavia, in piena crisi di governo, il 15 gennaio scorso veniva realizzato l’ultimo scostamento di bilancio dell’era Conte: trovati 32 miliardi di euro. Due giorni dopo Renzi annunciava le dimissioni di Bonetti e Bellanova. Renzi fece il suo show relegando le ex-ministre al ruolo di paddock girl, le ragazze che sostengono l’ombrello per riparare dal sole i piloti del MotoGp. Non proprio una scena esaltante. Ancor meno per il paese. I 32 miliardi di euro stanziati il 15 gennaio servivano, in teoria, per ristorare i più colpiti dal lockdown natalizio. In realtà li hanno utilizzati Draghi ed suoi “derivati” con il decreto Sostegni approvato il 22 marzo scorso, quasi 40 giorni dopo l’insediamento di Draghi a Palazzo Chigi, non certo una tempistica da record.
Questi sono i fatti, le date e le cifre. Per fronteggiare la pandemia il governo Conte ha stanziato, “fuori bilancio”, dunque allontanandosi dai rigorosi obiettivi economici prefissati anche grazie al Patto di stabilità e crescita, quasi 140 miliardi di euro. Il governo Draghi, ad oggi, zero. Il Messia, come un politico tradizionale, ha annunciato uno scostamento di bilancio da approvare assieme al prossimo Def. Non dubito che lo farà. Ma restano indicibili sospetti e scomode (per i lacchè) verità.
Vi è il sospetto che una parte dei paesi dell’Ue fossero preoccupati dagli scostamenti di bilancio fatti in Italia in relazione ai nostri fondamentali economici e, dunque, serviva qualcuno che non dico chiudesse il rubinetto ma che, quantomeno, stringesse la chiave. Se costui sarà o meno Draghi lo scopriremo solo contando. Contando i miliardi che saranno stanziati, perché ne servono ancora molti. Perché la condizione socio-economica del nostro Paese peggiora rapidamente.
Infine, ci sono le verità che nessuno vuol dire. Ovvero che, ad oggi, il governo dei migliori non ha dimostrato né empatia, né solerzia, né particolari doti, né visione. Ad oggi il Messia ha disposto solo un nuovo lockdown che sarà, oltretutto, “coperto” con i denari che il vecchio governo immaginava di predisporre per affrontare le conseguenze del lockdown precedente prima che lo shutdown dell’amico dei sauditi spegnesse anche il racconto della verità.
Alessandro Di Battista
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